martedì 7 agosto 2018

La fata d'estate il Fauno


Nessuno poteva vederli, in quel luogo segreto di cui solo Lei, fata d'estate, conosceva la strada per raggiungerlo.
«Che cosa vedi?» chiese, indicando il cielo.
Lui sorrise, con quel fare spavaldo tipico dei fauni, lo sguardo furbo e al contempo docile delle creature del bosco. «E' un pianeta. Rosso. Sembra insanguinato»
«E' la Luna. Rossa. Sembra innamorata.» sibilò la fata, senza smettere di guardare l'astro con quegli occhi grandi, lungimiranti, che sapevano osservare l'inosservabile.
Egli scosse la testa, senza perdere quel fare beffardo. 
Beffardo ma incredibilmente bello.
Le mani si unirono e poco a poco s'avvicinarono i corpi.
«Arriverà l'autunno, piccola fata. Con sé si porterà via il calore del sole. I boschi perderanno le foglie, non potrai più nasconderti, non ci sarà alcun tepore a scaldarti. Come farai?»
Ella appoggiò la tempia sulla spalla del fauno.
«Allo stesso tempo, giungerà l'inverno e sulla tua tana scenderà la neve, geleranno gli alberi e non avrai più frutti da cogliere e sarai costretto a vagare a lungo alla ricerca di cibo. Mio caro fauno, chi fra i due è più in pericolo?»
Le dita, forti e maschili, risalirono sul collo diafano dell'eterea fanciulla. 
«Eternamente in pericolo. Minacciati dalla fame, dal gelo... dalla carne.»
«Sopravvivremo mai?»
L'abbraccio fu docile, donato con la semplicità dello scorrere dell'acqua in un ruscello.
Lei odorava di fiori, lui di muschio e resina di pino.
«Sopravvivremo» dichiarò il fauno, a voce bassa. «Non c'è altra soluzione.»
«Come fai a esserne così sicuro?»
S'incontrarono gli sguardi. «Abbiamo ancora molte lune e troppi pianeti insanguinati e innamorati da guardare, mia piccola fata d'estate. Molti e troppi. Non è questo il momento di guardare in basso.»
Le afferrò docilmente il mento e la indusse a sollevare gli occhi sulla volta celeste.
E mentre ella fissava le stelle, il fauno indovinava le sue labbra. 

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